Locanda Universo

Locanda Universo

Francesco Vaccarone

A cura di P. Asti, L. Beatrice, M. Lapperier
04 – 24 aprile 2019
Bayreuth, Ausstellungshalle des Neuen Rathauses

Vaccarone omaggia Wagner

Il dramma musicale si fonde alla pittura

Mattia Lapperier

Questa mostra è stata concepita come un omaggio, un atto d’amore, nei confronti di Richard Wagner, com’è noto, uno dei più importanti compositori della storia della musica. L’arte di Francesco Vaccarone ha l’onere di misurarsi con quella del musicista tedesco; è così che musica e pittura si fondono in un tutt’uno, restituendo l’impressione di una sinestetica opera d’arte totale – una sorta di Gesamtkunstwerk,per dirlo con Wagner – in cui immergersi completamente, in cui riconoscersi.

Il compiuto esito a cui approda la ricerca artistica di Vaccarone, dopo un anno e mezzo di appassionato lavoro, deriva da studi approfonditi sull’opera di Wagner, oltreché da prolungate sessioni di ascolto dello stesso. Non è tuttavia la prima volta che l’artista si misura con la musica; sin dagli anni Novanta egli sentì l’esigenza di accostarsi ad essa, sviluppando un linguaggio caratterizzato da arditi contrappunti cromatici e da solide composizioni, a metà strada tra il figurativo e l’astratto. A tal proposito, basti qui citare, tra gli altri, la smisurata tela Syrinx (1990), dedicata all’omonima composizione di Claude Debussy, il ciclo di dipinti ispirati a Le quattro stagioni di Antonio Vivaldi (1995), il tango argentino di Astor Piazzolla (2002-2003) o il Boléro di Maurice Ravel (2015). Questi sono solo alcuni dei numerosissimi esempi che testimoniano il profondo amore di Vaccarone per la musica, passione, quest’ultima, che lo ha spinto a elaborare intere mostre – proprio come quella attuale – a partire dalle suggestioni sonore prodotte dall’ascolto. A tal proposito, un significativo precedente è costituito dalla rassegna itinerante che ha toccato cinque città argentine, nel corso del 20081.

Tornando alla mostra, le venticinque tele che compongono l’omaggio a Wagner sono dedicate a cinque dei capolavori a firma del celeberrimo musicista: Tristano e Isotta, L’oro del Reno, Parsifal, L’Olandese volante e Il divieto d’amare.

Ogni singola tela proposta da Vaccarone, pur in aperto dialogo con le altre afferenti allo stesso dramma musicale, raffigura un mondo a sé, governato da proprie regole interne. I dipinti sono solitamente contraddistinti da un’impostazione tonale di base, restituita da una pittura solida, stesa à plat, spesso variata nella superficie dal ricorso al frottage o, in taluni casi, al grattage. A partire da tale scenario tendente al monocromo, l’artista costruisce la composizione, permettendo, in questo modo, l’emersione di profili appena abbozzati, non svelati in tutte le loro parti, quasi fossero evocati dalle note dello stesso Wagner. A una coloratissima gamma di accenti tendenzialmente lineari è poi riservato il compito di variare le tele, di conferir loro movimento e alterazioni, assecondando le logiche del cromatismo musicale e del contrappunto, di cui Wagner fu maestro.

In alcuni casi, come accade nei dipinti per il Tristano e Isotta intitolati Il ricordo di Tantris, La lunga notte dei due innamorati 1 e Liebestod, gli accenti cromatici prendono il sopravvento sulla composizione, al punto da fagocitarla del tutto, giungendo a una vera e propria astrazione che procede per espansione su di un fondo nero, sconfinando addirittura, in Liebestod, al di là dei limiti imposti dal telaio. In altri, si prendano in considerazione in questo caso i dipinti per L’oro del Reno, la figurazione resiste, impreziosita dal ricorso alla foglia d’oro, stesa nel mezzo delle linee che accennano al flusso delle acque. In altri ancora, pur immerso in un contesto astratto, sopravvive l’impianto figurativo del dipinto, ridotto a misteriose silhouette dietro cui si celano, come già accennato, i protagonisti dei drammi wagneriani. L’ombra notturna di due amanti 2, realizzato per Tristano e Isotta, Kundry per Parsifal e il doppio profilo affrontato di Tribunale, dipinto per Il divieto d’amare, rappresentano tre efficaci momenti in cui Vaccarone, sfruttando l’immagine in ombra dei suoi iconici ed eroici personaggi, permette all’osservatore di attivare un processo di identificazione e immedesimazione nel dramma di sempre, nel dramma di tutti.

Ogni opera esposta rappresenta per Vaccarone una preziosa occasione di confronto su alcune delle tematiche che, da sempre al centro delle sue riflessioni, ricorrono nella maggior parte dei suoi lavori pittorici, plastici o grafici. Wagner prima di lui aveva composto i suoi drammi attorno alle medesime categorie esistenziali, penetrandole acutamente nel loro significato più profondo. Esse, autentico cardine della mostra, sono la vita, l’amore e la morte.

L’impulso vitale – la perenne lotta degli opposti

Vaccarone con i suoi dipinti reinterpreta, rielaborandolo, quell’impulso vitalistico che permea gran parte dei drammi wagneriani, già peraltro individuato ed esaltato da Friedrich Nietzsche, prima della definitiva rottura con Wagner2. Quasi tutte le tele sono consapevolmente costruite sulla base di dicotomie, solitamente personificate da due entità contrapposte che si condensano, materializzate dalla pittura, in corrispettivi oggettivi. Gli opposti tengono insieme e, allo stesso tempo, variano la composizione, gli conferiscono movimento, accelerano il suo ritmo, ne ridefiniscono l’assetto. L’ancestrale scontro tra le forze uguali e contrarie di bene e male, la lotta tra libertà erotica e la repressione dei sensi, contenuti, controllati, bloccati da una religiosità percepita come bigotta, i dualismi di trasgressione e regola, luce e ombra, vita e morte coagulano e, conseguentemente, si risolvono nei dipinti di sintesi. Questi ultimi, individuando nella morte l’estrema risoluzione di ogni conflitto, si caricano di un significato liberatorio, quasi catartico.

In Isotta attende l’arrivo di Tristano e in Carnevale è chiara e manifesta, sin dal titolo, l’intonazione esuberante e vitale delle scene rappresentate. Si noti tuttavia che, seppur calato in un contesto farsesco, dal sentore quasi orgiastico, in Carnevale si assiste, di fatto, a una lapidazione. Il corpo femminile giace scomposto e inerme sotto un diluvio di insulti misti a stelle filanti e pietre che, come meteoriti, lo straziano. La scena rappresenta la perenne lotta tra un eros libero e una morale soverchiante e lo fa recuperando il concetto epicureo che Lucrezio definì clinamen, ovverosia la spontanea e casuale deviazione a cui è sottoposta la caduta degli atomi nel vuoto3, ora colpi diretti contro la donna.

La vita, celebrata come trionfo dei sensi, è la protagonista assoluta di una delle tele dipinte per il Parsifal: Il giardino magico. Esso ci è presentato come un luogo incantato, ricolmo di corpi che paiono muoversi al ritmo di quel valzer lento che caratterizza la seconda scena del terzo atto del dramma wagneriano. Vaccarone sembra evocare quelle sonorità per mezzo dei suoi accenti cromatici, liberamente disposti tra i corpi stessi. Su di un fondo verde brillante si scorgono infine le silhouette delle donne-fiore che si rincorrono e giocano allegramente con Parsifal. Il giardino delle delizie, creato da Klingsor appositamente per sedurre i cavalieri del Graal e concependolo come un luogo di perdizione ma, allo stesso tempo, di piacere, incarna l’unico momento di leggerezza di un dramma ineluttabilmente condizionato dal conflitto tra religiosità e sensualità.

Un analogo dualismo sta dietro l’ideazione dei dipinti per L’oro del Reno. Per Il bene e il male,Vaccarone recupera soluzioni compositive già presenti nella serie degli Opposti (1985), poi sviluppate ulteriormente con Il sogno del faraone (2000)4. Egli inoltre, nella tela esposta in mostra, amplifica all’ennesima potenza la compattezza della pittura, rendendo tangibile, quasi reale, lo scontro di personaggi che incarnano valori positivi e negativi. Nettamente contrapposti, da un lato stanno le ninfe che rivelano il potere segreto dell’oro del Reno, dall’altro il nano Alberico che, corrotto dall’oscuro desiderio di dominare il mondo, si impadronisce avidamente del tesoro, rinnegando l’amore. La battaglia tra Dei e giganti, avvenuta in seguito al mancato pagamento di un debito contratto dai primi nei confronti dei secondi (e a cui l’oro del Reno può porre rimedio), è interpretata da Vaccarone come una contrapposizione di entità primigenie; la sensualità contro il rigore, la linea flessuosa contro la geometria. A sottolineare ulteriormente quanto la scena incarni il primordiale confronto tra forze cosmiche, concorre la sola presenza – in aggiunta al bianco e al nero – dei colori primari che arricchiscono la composizione, rendendola archetipicamente viva e attuale.

Il dramma dell’amore

L’amore, in tutte le sue forme, rappresenta il tema cardine attorno a cui ruota l’intero ciclo di opere realizzate per Wagner. Che sia platonico – come quello che ha legato il compositore stesso a Mathilde Wesendonck – consumato o no, tragicamente spezzato o reso possibile soltanto dal sopraggiungere della morte; è l’amore, sotto forma di passione, desiderio o ossessione, a muovere ininterrottamente le fila dei drammi rievocati dalla pittura di Vaccarone. Spesso, come Il divieto d’amare e, ancor di più, Tristano e Isotta suggeriscono, la tematica principale consiste nell’aspirazione a un amore libero.

Osservando le due tele intitolate L’ombra notturna di due amanti, si noterà che ci troviamo innanzi a due ritratti affrontati che rimangono in controluce. Tristano e Isotta, senza nemmeno sfiorarsi o proferire parola, sembrano impegnati in un dialogo taciturno, stentato, allusivo, incapace di assumere una forma compiuta. Vaccarone, con i due dipinti, pare cristallizzare per sempre la passione dei due amanti e, contemporaneamente, esprimere per mezzo della pittura quell’uso ossessivo del cromatismo e della sospensione armonica che rende il Tristano e Isotta wagneriano così oscuro, ardito nell’esecuzione e costantemente caricato di suspense, al punto da indurre il suo stesso autore a definirlo “qualcosa di terribile, capace di rendere pazzi gli ascoltatori”5. Le opere si fanno metafora di un amore impedito, complicato, osteggiato, dietro cui si riesce a intravedere il dramma umano di Wagner, di un uomo innamorato della moglie del suo migliore amico, costretto dalle circostanze a rimanere in disparte.

Di tutt’altra natura è il rapporto che lega Parsifal a Kundry. La donna, incarnazione di una peccaminosa tentazione, seduce Parsifal che, rimasto senza difese, compensa un mancato sentimento materno con un amore di natura erotica, scorgendo freudianamente al di là del volto di Kundry, quello della madre. Vaccarone coglie tutta la passività di un Parsifal soggiogato dalla donna, la quale si protende su di lui, sovrastandolo, quasi impedendogli di respirare ma non di far apparire nella sua mente – e sotto i nostri occhi – l’immagine della madre.

Analoghe tensioni tra due amori di diversa natura scaturiscono da altre due tele dipinte per il Parsifal. In esse si scorge l’alterco tra la purezza di un sentimento consacrato a Dio e l’ambiguo senso di colpa derivante da una tormentosa passione corrotta dal peccato, percepita come ineluttabile, che non lascia scampo. Klingsor e Il deserto, simili per buona parte della cromia e per l’impianto compositivo, al punto che potrebbero essere intesi come un dittico, sono lo sviluppo l’uno dell’altro. La coppa del Graal appare dal profilo di due volti femminili, l’uno in luce, l’altro in ombra6, e, contornata da conturbanti forme sinuose, sembra espandersi, emergendo da un fondo eccitato da un moto centrifugo. Nel secondo dipinto invece vediamo rotto questo equilibrio, la coppa si sfalda, i profili perdono il loro assetto originario; il deserto prende il sopravvento sul giardino di Klingsor, si appropria delle forme di donna che diventano dune, Kundry giace penitente, prigioniera di un cespuglio di rovi.

Le tele di Vaccarone per il Parsifal assorbono il misticismo dell’opera, ne rielaborano i simboli religiosi, offrono uno spaccato su sentimenti, emozioni, pulsioni che stanno tra il trascendentale e il carnale, tra il sacro e il profano. Esse, sfruttando la metafora del dramma wagneriano, innescano un cortocircuito visivo ritmico e tonale, capace di dar forma ai passaggi più complessi della psiche umana.

Morte come sintesi ultima

Controparte di Eros, inteso come categoria di pensiero e, dunque, pulsione di vita, è Thanatos; la morte, la tendenza all’annichilimento o all’autodistruzione. La morte scioglie anche la circostanza più complessa, si fa sintesi suprema a cui giunge inevitabilmente la vicenda, segnandone il drammatico epilogo. Essa pone un freno alle passioni più violente o – in taluni casi – rende possibile ciò che possibile non è stato in vita. Il celebre Liebestod, il canto di amore e morte di Isotta, incarna alla perfezione l’unione di Eros e Thanatos. È la morte d’amore che ricongiunge i due sventurati amanti, impossibilitati dalle circostanze a soddisfare il proprio reciproco sentimento quando erano ancora in vita.

Un destino in parte simile tocca anche a Senta e allo spettrale capitano dell’Olandese volante. Riuniti insieme dalla morte, quest’ultima, ancora una volta, non rappresenta meramente la fine della vita ma, anzi, l’inizio della vera vita insieme dei due innamorati, nonché lo scioglimento dell’incantesimo che ha costretto l’Olandese a vagare senza sosta per il mare. Le tre tele di Vaccarone per l’omonimo dramma, se viste in sequenza, visualizzano lo svolgersi di un’unica scena che ha come ambientazione unica il mare: la prima mostra l’imponente apparizione del vascello nero dalle vele rosse; la seconda la tragica morte di Senta che, in un estremo tentativo di raggiungere l’Olandese, si tuffa disperatamente in mare; la terza suggerisce la riunione dei due protagonisti che ascendono al cielo. L’Olandese salpa con Senta in Paradiso ritrae appunto i due, ormai fusi in un’unica e inscindibile unità, che si elevano gloriosamente tra mare e cielo.

Infine, in aggiunta a quanto detto sinora, la morte assume in altri casi intonazioni ben più drammatiche e irreversibili. Essa, segnando la fine delle ambizioni degli esseri viventi, appare come una forza oscura che regola il mondo. Questo è il significato che le attribuisce il nano Alberico, una volta costretto a riconsegnare i suoi tesori. L’avido possessore dell’oro del Reno individua così nella morte, intesa come annientamento totale, la sola vincitrice. Allude proprio a tale granitica certezza la scritta che affiora tra le acque del Reno Alles was ist endet, assunto, quest’ultimo, che dà anche il titolo a una delle tele. Una conflagrazione finale, una precipitazione rovinosa, uno scorcio su un mondo che cade in frantumi è quanto drammaticamente rappresentato nella Sintesi della tetralogia. Mentre un minuscolo granello d’oro sopravvive al centro, il Reno emerge a fatica tra le macerie, il suo corso diviene irregolare, si inabissa e riappare in differenti aree della tela7. I piani, frammentati in questo dipinto come non mai, si sovrappongono e si intersecano, si fanno largo tra le rovine che prefigurano il Crepuscolo degli dei, l’ultima parte della tetralogia. La fine è imminente, tragica, definitiva, irrimediabile.

Note

1 Si tratta di una mostra itinerante di trenta opere dedicate a Franz Liszt, Sergej Rachmaninov e Pyotr Ilyich Tchaikovsky, allestita contestualmente alla tournée del pianista Paolo Restani che, nel settembre 2008, ha avuto luogo nelle città argentine di Paranà, Santa Fe, Rafaela, Salta ed Esperanza.

2 Si possono mettere in relazione, in questo caso, i due testi del filosofo tedesco che meglio riassumono l’evoluzione del suo pensiero su questa vicenda: La nascita della tragedia (1872) e Nietzsche contra Wagner (1889).

3 Non è la prima volta che Vaccarone si misura con il pensiero di Lucrezio, attribuendo una forma concreta a concetti filosofici. Ciò accadde, ad esempio, già nella tela Omaggio a Lucrezio (1974).

4 Si noti inoltre che Il bene e il male, Il potere di Alberico sui Nibelunghi nelle viscere della Terra, Alles was ist endet e, almeno in parte, anche Dei e giganti sono considerabili lo sviluppo di un impianto compositivo fluviale già affrontato da Vaccarone in una tela risalente al 1998, intitolata Sarno, fiume di fango. Essa commemorava il disastro ambientale avvenuto nel maggio dello stesso anno in prossimità del fiume Sarno. L’oro che custodisce il Reno prende dunque il posto di detriti, macerie e fango trasportati dal Sarno, nel quadro del 1998.

5 In questi termini Wagner, commentando il suo dramma musicale, si pronunciò in una lettera indirizzata a Mathilde Wesendonck.

6 L’immagine richiama vagamente quella del Vaso di Rubin, noto test psicologico basato sulla focalizzazione di una figura rispetto allo sfondo. Nel caso di Klingsor tuttavia, la coppa e i profili, non essendo in netto rapporto di luce e ombra tra loro, sono visibili entrambi contemporaneamente.

7 Francesco Vaccarone mi raccontò la travagliata genesi di questo dipinto, di come solo nel cuore della notte riuscì a intuire la giusta proporzione tra le parti che simboleggiano il fiume, richiamando quest’ultimo in alto a destra, la mattina seguente, di getto. Allo stesso modo, mi rivelò anche di come, avendolo realizzato nel corso dell’estate 2018 – proprio a ridosso del 14 agosto, giorno in cui crollò il ponte Morandi di Genova – rimase scosso da quella luttuosa notizia, al punto da riversare in Sintesi della tetralogia un’eco di quel turbamento.